Da un punto di vista tecnico il carico immediato in implantologia è un concetto semplicissimo: si inserisce l’impianto o gli impianti e, alla fine di questa fase chirurgica d’inserimento e adeguamento dell’impianto al sito, avremo un moncone implantare  o una serie di monconi implantari su cui si posizionerà immediatamente una protesi provvisoria fissa, provvisoria, ma fissa.

Ci sono diverse modalità di carico immediato ma, soprattutto, diverse tipologie di impianti con cui poter fare il carico immediato, e cambiano gli interventi chirurgici, le tecniche, gli strumenti, le protesi. Insomma, cambia tutto.

Per capirci qualcosa, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e ripercorrere velocemente le tappe del carico immediato. L’implantologia nasce a carico immediato. Diventa veramente efficace e affidabile con Stefano M.Tramonte, che introduce il titanio per la realizzazione degli impianti e i principali concetti e le principali tecniche che gli permettono di raggiungere percentuali di successo del 98% agli inizi degli anni ’60. Tramonte usava un impianto a carico immediato obbligato di titanio, monoblocco in cui il moncone implantare era parte integrante dell’impianto, e a fine inserimento il moncone sporgeva dalla gengiva e riceveva il carico fin dalla fine della fase chirurgica. Era nata l’implantologia di scuola italiana, coi suoi impianti le sue tecniche la sua attrezzatura.

Alla fine degli anni 80 arriva un altro tipo di implantologia, codificata da Branemark, con un impianto completamente diverso, criteri, principi e tecniche diverse e opposte. Questo impianto nasce come impianto a carico differito obbligato, deve essere sommerso sotto gengiva e restare in quiescenza riparativa per 4/6 mesi. Nasce così l’implantologia di scuola svedese, che si diffonderà velocemente per tutto il pianeta grazie alle ingenti sponsorizzazioni che le permettono un’abile politica di mercato.

Gli impianti svedesi hanno parecchi limiti funzionali così si svilupparono  tutta una serie di tecniche chirurgiche, pregevolissime invero, che permisero a questi impianti di colmare in gran parte il gap con la scuola italiana che invece si affidava completamente all’estrema maneggevolezza dei propri impianti e non necessitava di alcun tipo di chirurgia.

Alla fine degli anni duemila, l’implantologia di scuola svedese inizia un lungo processo di italianizzazione, adottando piano piano i principi e le tecniche della scuola italiana tra cui il carico immediato, ormai richiesto a gran voce da pazienti e odontoiatri. I suoi impianti, però, non sono nati per questo utilizzo e così devono essere modificati e contemporaneamente si devono sviluppare nuove tecniche chirurgiche ma i difetti intrinseci di questi impianti, progettati a connessione protesica proprio per non fare il carico immediato, restano. Dunque, il carico immediato fatto con impianti di scuola svedese risulta molto limitato dalle condizioni anatomiche e dalla qualità ossea, cosa che non avviene con gli impianti di scuola italiana. Gli impianti italiani si adattano a ogni condizione e possono affrontare casi molto difficili in carico immediato, gli impianti svedesi non hanno questa capacità e possono fare il carico immediato solo in condizioni ottimali ma pretendendo il più delle volte che l’anatomia del paziente venga adattata, mediante interventi chirurgici di osteoplastica resettiva, alle proprie esigenze.

La massima espressione del carico immediato di scuola svedese è lall on four (AO4), o l’all on six (AO6)  un’arcata di 10/12 denti sostenuta da soli 4-6 impianti denominata Toronto Bridge. E’ una soluzione piuttosto economica, di rapida attuazione, che però richiede una condizione standard: edentulia totale e profili ossei regolari e di un certo spessore. Questo comporta interventi di bonifica a volte veramente invasivi: estrazioni multiple, grandi lembi di accesso, plastica delle creste ossee per permettere un buon alloggiamento delle emergenze implantari piuttosto ingombranti.

L’implantologia di scuola italiana, invece, può coprire quasi tutte le situazioni anatomiche, anche in presenza di forti atrofie, grazie alle straordinaria adattabilità dei propri impianti, non richiede mai estrazioni né plastiche dell’osso e neppure l’apertura di grandi lembi, potendo essere inseriti anche in creste strette senza bisogno di aprire un lembo (tagliare la gengiva).

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