New York, 20 febbraio 2016
La scorsa settimana sono venuto a New York, con mia moglie Daniela e mio figlio Max. Lo scopo era incontrare mia figlia Eleonora, che si sta diplomando in un liceo di Boston, e fare una vacanza di una settimana tutti insieme nella mitica città. Ma c’era una motivazione collaterale. Per me assai importante. A mezz’ora di strada da Times Square, in un palazzo residenziale affacciato sull’Hudson, vive una persona a me molto cara, uno degli ultimi amici viventi di mio padre. Uno degli ultimi giganti dell’implantologia delle origini. Un pezzo da 90 della storia dell’implantologia americana e mondiale. Un signore che sta per compiere il suo novantesimo anno di vita, una vita lunga quella, durata 90 anni, ¾ dei quali passati a combattere una battaglia disperata, una battaglia di pochi uomini contro un intero mondo di università, di accademie, di Associazioni scientifiche e, soprattutto, di un business di miliardi e miliardi di dollari. Una guerra che mio padre, insieme a pochi altri, ha condiviso e che io, ancora insieme a pochi altri ma non gli stessi, ho continuato a combattere dopo di lui. Ma con molte meno medaglie sul petto…
Quell’uomo ha fatto tutto, è stato dovunque, ha scritto 22 libri, ha operato fino a pochissimo tempo fa.
Quell’uomo è una specie di leggenda vivente e il suo nome è Leonard I. Linkow.
Io l’ho incontrato poche volte, non amavo le luci della ribalta scientifica internazionale come mio padre, ma lui era come un lontano parente americano, era di casa. Era uno che si nominava con tale frequenza da diventare familiare anche se quasi sconosciuto. L’ultima volta che lo avevo incontrato, almeno virtualmente, fu nel ’99, in Montevideo (Uruguay), in occasione della Fondazione della prima Accademia cibernetica del mondo, la Academia Internacional de Implantologia y Odontologia, di cui ero uno dei fondatori. E Lenny, questo è il diminutivo di Leonard, ne era il padrino internazionale.
Siamo andati a casa sua, nell’ultimo baluardo del suo mondo scomparso, tra i mille oggetti e le mille foto di tutta una vita da guerriero.
E’ stato un incontro emozionante e commovente, tre generazioni di Tramonte, la prima assente giustificata, e il Grande Vecchio. Ancora lucido, ancora energico, con una memoria viva assai, certamente più della mia che ho più di vent’anni di meno.
Le sue prime parole, quasi a scusarsi di non essere più in prima linea, sono state queste:”Ho combattuto tutta la vita….tutta la vita…ma abbiamo vinto!”
Si, Lenny, abbiamo vinto. Tu, mio padre, Pasqualini, Salagaray, Sami Sandhaus, Borrel, Pierazzini, Muratori, Garbaccio, Scialom, Cherchéve, Zepponi, Perron Andrès, Gnalducci, Mondani e tutti gli altri pionieri dell’implantologia delle origini, che sopravvive ancora oggi, sempre più applicata e considerata; e noi, i “giovani” della seconda generazione, io e Marco Pasqualini e Marco Gnalducci e tutti gli altri che hanno costituito la seconda linea, abbiamo vinto. Contro tutto il mondo dell’implantologia osteointegrata, venuta ben venti anni dopo ma con un’incredibile dotazione di mezzi economici elargiti a piene mani dal colosso mondiale Nobel, abbiamo vinto. E l’implantologia osteointegrata si è piegata ad accettare ed accogliere nei suoi protocolli tutti i nostri principi concettuali, e le nostre tecniche osteggiate e squalificate per anni, dopo averci trafugato per anni il primato dell’introduzione del titanio in implantologia. Tutta roba nostra. Vostra. Mai riconosciuto ufficialmente ma se oggi l’implantologia osteointegrata è quello che è lo deve solo ed esclusivamente a noi, cha abbiamo combattuto senza farci annientare, a te, Lenny, che hai combattuto per tutta la vita.
Abbiamo parlato, e parlato, e parlato…i ricordi di una vita, le notizie sugli amici italiani rimasti…i suoi ricordi delle battaglie di mio padre… poi ci ha fatto vedere un film: la storia della sua vita, delle sue lotte, dei suoi successi, dei suoi amici tra i quali Max ha trovato il nonno, lì, in America, a casa di uno che fino a ieri non sapeva neppure esistesse benché l’avesse sentito nominare in casa chissà quante volte… Bel video accompagnato dalla voce calda di Frank Sinatra che ripeteva all’infinito uno dei suoi cavalli di battaglia: My Way. Nulla di più appropriato per l’uomo, per la circostanza, per mio padre, per me che ho raccolto la sua pesante eredità, per mio figlio, che dovrà completare l’opera.
My Way…ognuno di noi ha fatto quel che doveva fare, senza badare ai costi, senza badare a quanti fossero i nemici o quanto disonorevoli fossero, senza badare a null’altro che resistere e combattere, contro tutto e tutti, contro le infinite difficoltà, i blocchi, gli ostracismi, le squalificazioni, i sabotaggi e gli attentati….
Ma alla fine, abbiamo vinto!
Ritrovarti, rivederti, vederti giocare coi miei figli, sentirti dare lezioni di vita professionale a mio figlio Max, che seguirà la stessa ardua difficile strada, abbracciarti e sentire in quell’abbraccio l’epica di tutta una vita, poter condividere con te l’esultanza venata dalla tristezza di un tramonto incombente, vedere mio figlio vivere la magia del momento, attonito, compreso nell’intensità di quanto gli stava accadendo, vederti regalargli il tuo primo libro con una dedica per lui, tutto questo è stato assolutamente straordinario.
Non sei tu che deve ringraziare me per esserti venuto a trovare, ma io, tutti noi, per la grande gioia che ci hai regalato.
Grazie Lenny, con tutto il cuore, grazie….