Rubrica Covid19 – L’isolamento?La pratica migliore

Una rubrica settimanale a cura del professor Tramonte, dedicata all’emergenza Covid-19. Un’iniziativa a cui abbiamo deciso di aderire con piacere per stare vicino ai pazienti e, più in generale, a tutti i cittadini. Un progetto che mira a racchiudere, puntata dopo puntata, considerazioni medico-scientifiche, aggiornamenti e consigli utili per fronteggiare la situazione e affrontare al meglio la quarantena.

Terza puntata della rubrica dedicata all’emergenza Covid-19. In questa pubblicazione, ancora una volta doppia, il professor Tramonte affronta temi delicati relativi alla pandemia puntando la lente d’ingrandimento sull’importanza dell’isolamento, sul concetto d’immunità di gregge, sulle differenze tra Covid e Spagnola, sulla possibilità di trovare un vaccino e farmaci adatti alla cura e su una possibile epidemia di ritorno. 

«L’isolamento?La pratica migliore»
VIRUS E MEDICINA Il professor Tramonte: «E’ l’unica vera arma per non essere infettati»
STEZZANO – In piena emergenza CoronaVirus, lasciamo la
parola al professor Silvano Tramonte, medico chirurgo e
implantologo di fama mondiale, anima dei Centri Tramonte di Milano e Stezzano, che
ha deciso di aiutarci a fotografare la situazione, dalla sua origine ad oggi, di aiutarci a capire meglio, dal punto di vista medico-scientifico, cosa sta accadendo, quali sono gli scenari attuali e quali quelli futuri.
La sua sarà una rubrica, a puntate, nella quale ogni settimana cercherà di sviscerare per noi
alcune delle questioni relative all’emergenza planetaria che ci ha colpiti. In questa terza puntata, il professore milanese ci spiega gli effetti positivi dell’isolamento e il concetto di immunità di gregge.
Isolamento, buona pratica?
«Assolutamente si. E’ l’unica vera arma che abbiamo per rallentare il contagio, che è il
problema principale. Non esistono metodi affidabili e percorribili, al momento, per dividere le persone contagiose da quelle non contagiose. I tamponi offrono falsi positivi e falsi negativi, esami sierologici
affidabili ancora non esistono ma l’obiettivo primario è portare il rapporto tra ricoveri e
dimissioni a valori accettabili e con prevalenze di dimissioni sui ricoveri. Questo e la diminuzione di velocità del contagio permetteranno il normalizzarsi della situazione nelle strutture sanitarie e nella riorganizzazione del territorio e delle attività. Deve essere chiaro che al momento attuale
l’unica forma di difesa che abbiamo è rallentare la velocità di contagio e il mezzo per ottenere ciò è l’isolamento, la distanza sociale e tutte quelle pratiche che impediscono la diffusione del virus. Al momento non disponiamo di nessun sistema protettivo ambientale dunque l’isolamento e la protezione individuale è ciò che dobbiamo perseguire ad ogni costo. Ma dobbiamo essere positivi: in tutto il mondo si lavora freneticamente per arrivare il più velocemente possibile a disporre di armi appropriate e
specifiche per contenere e riportare questo virus a condizioni di gestione accettabili.
Vorrei riportare una notizia che mi giunge proprio ora.
La Nuova Zelanda ha adottato una strategia di restrizioni il più possibile rigide in tutto il
paese fin da subito, nonostante i casi rilevati fossero relativamente pochi. Ebbene, dopo due
settimane, il numero dei nuovi contagi è in costante diminuzione dopo aver raggiunto il
massimo di 98 (novantotto!!!!) persone il 2 di aprile. Il Washington Post l’ha definita una
strategia “di eliminazione”, anziché “di contenimento” contrariamente a quello che
abbiamo fatto noi, anche pasticciando. Un altro caso abbastanza illuminante è quello
della Diamond Princess, quella nave rimasta in quarantena dal 4 febbraio al 27 febbraio
nel porto di Yokohama. Ora, si dice che la quarantena sia stata un fallimento perché si contagiarono 705 persone su 3700. E certo, da un punto di vista epidemiologico la quarantena fu sicuramente un fallimento, soprattutto se paragonata al successo dell’isolamento imposto in Nuova Zelanda. Però, i morti furono solo 5. Ora, io non possiedo il dato dell’età media dei passeggeri sulla nave, né della composizione delle fasce d’età, ma certamente il fenomeno è interessante. Uno studio svedese,
tuttavia, dimostra matematicamente che se non si fosse messa la nave in quarantena il numero dei contagi sarebbe stato assai superiore: 2920. Ora, supponendo improbabile che
la nave fosse piena di ultraottantenni con tre o quattro patologie gravi, mi sembra di poter rilevare che in assenza della fascia di età a maggior rischio la letalità crolla allo
0.7%, che non è niente male per una quarantena fallita. La mortalità si attesterebbe invece allo 0.15%. Il calcolo matematico però ci dice anche un’altra cosa: che su 3700 persone ne sarebbero state contagiate quasi l’80%. Ora un’ultima considerazione, stiamo parlando di una nave, con spazi ristretti, corridoi ristretti, cabine anguste, un luogo, dunque, dove le distanze sociali di sicurezza non potevano essere
osservate, con l’impossibilità di starsene chiusi in tali loculi per 23 giorni (considerate l’insofferenza che dimosgtrano gli italiani nei confronti della propria casa!) e infine la presenza di condotti d’aria forzata che disperdevano e convogliavano il virus dovunque. Lasciamo agli epidemiologi il compito di
analizzare questi dati e trarne conclusioni definitive e illuminanti, ma credo che per dimostrare che l’isolamento è una buona pratica, basti e avanzi».
L’immunità di gregge
«Quella dell’immunità di gregge non è una teoria ma una legge dell’Epidemiologia, quella parte dell’igiene che studia le caratteristiche del manifestarsi delle malattie e le
condizioni e circostanze che ne favoriscono o ne ostacolano lo sviluppo. L’epidemiologia è
importante per la prevenzione delle malattie in generale e soprattutto per le malattie infettive. L’epidemiologia ci dice che quando un paziente ha contratto una malattia infettiva e ne è guarito, in linea di massima non può più ammalarsi di quella stessa malattia.
Quando questo accade a molti individui, significa che quegli individui costituiscono un
gruppo di persone immuni verso quella determinata malattia e in questo gruppo il patogeno
non potrà più circolare. E’ quello che noi cerchiamo artificialmente di ottenere attraverso le vaccinazioni di massa, è così che si ottiene un grande numero di persone immuni.
Quando il numero di persone immuni raggiunge il 95% ( con qualche variazione per specifici patogeni) dei componenti del gruppo questa immunità del 95% degli individui incomincia ad esercitare un effetto
positivo anche su coloro che non sono immunizzati, e allora si parla di immunità di gregge
o gruppo. L’immunità vaccinale, ottenuta con l’uso di vaccini, non è così efficace come
quella ottenuta attraverso un contatto diretto col patogeno, dunque non solo l’immunità di
gregge esiste ma è anche più efficace di quella artificiale.
E’, però, un fenomeno che richiede un certo tempo per realizzarsi ma una volta realizzato
si potrebbe arrivare alla disattivazione del potenziale epidemico del patogeno. Ovviamente usiamo i vaccini perché il contagio naturale, oltre a produrre immunità, produce anche un bel numero di malati,
con tutto quel che questo comporta, compresi moltissimi decessi. Francamente non credo
che puntare sull’immunità di gregge per risolvere il problema del COVID-19 sia una strategia utile e/o praticabile per effetto della straordinaria velocità di contagio che caratterizza questo virus e che porterebbe in brevissimo tempo alla paralisi ed al collasso delle strutture sanitarie e produttive
del paese, come d’altra parte abbiamo visto accadere nelle operose province lombarde.
Dunque la soluzione, visto che siamo partiti in ritardo, male e senza mezzi, non può ora che
essere la rincorsa al contagio per rallentarlo con ogni mezzo a disposizione in modo di dare
tempo all’immunità di gregge di instaurarsi, o perché il numero degli infettati sarà sufficiente a determinarlo o perché avremo trovato un vaccino utile a concorrere all’ottenimento in tempi più rapidi dell’effetto immunità di gregge. Forse è il caso di spendere due parole sull’Inghilterra e sulla sua, se
poi è vero, decisione di puntare a raggiungere il 60% dei contagi per spegnere il contagio.
Questa strategia, però, non può tendere a raggiungere l’immunità di gruppo, che come abbiamo visto è rappresentata, genericamente, dal 95% delle persone costituenti il gruppo, anche se non sappiamo esattamente calcolare con precisione il valore perv il Sars-Covid-2 certamente è lontano da quel 60%, cifra che indicherebbe il valore teorico raggiunto il quale si potrebbe riprendere la vita sociale
avendo abbastanza persone per far funzionare il paese con
tutte le sue attività principali con persone immunizzate, isolando le altre e potendo così
evitare un impiego inimmaginabile di mezzi di protezione, decontaminazione, purificazione ecc. ecc.»
Prof. Silvano U. Tramonte

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